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Stretta sulle lettere di credito

di Cristina Jucker

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25 ottobre 2008

C'è un vecchio motto che si racconta negli Stati Uniti e che oggi sembra particolarmente attuale. Dice: In God we trust, all others pay cash (di Dio ci fidiamo, tutti gli altri paghino in contanti). Un tempo il sistema del credito dipendeva dalla fiducia, quella della banca verso i clienti e viceversa; poi, istituti bancari e finanziari, soprattutto negli Usa, hanno cominciato a prestare soldi a chiunque, come fossero indifferenti al rischio. E si è arrivati a quello che tutti possiamo vedere in queste giornate in cui assieme ai titoli quotati in Borsa sembrano crollare anche alcune delle più consolidate certezze.
Come spesso accade ora si passa da un eccesso all'altro: la sensazione diffusa (spesso è qualcosa di più di una sensazione) è che l'attività delle banche sia congelata. Non fidandosi più di nulla si blocca tutto. Il contagio della crisi si espande così lungo mille rivoli diversi: gli imprenditori ora temono una stretta decisa sulle lettere di credito, cioè gli strumenti più diffusi per garantire il pagamento delle esportazioni.
Paolo Zegna, vicepresidente di Confindustria con delega sull'internazionalizzazione delle imprese, non nasconde la preoccupazione: «La nostra sensazione è che ci sia un restringimento, anche se noi cerchiamo di convincere le banche a non guardare solo al breve termine, ma a prendere in considerazione la realtà e la potenzialità delle nostre aziende. Vorremmo che non venissero meno a una funzione che in fondo hanno svolto per molti anni».
Il problema, naturalmente, non riguarda solo l'Italia. «Il nostro timore – dice Vittorio Missoni, che da più di 20 anni si occupa di marketing nell'azienda creata dal padre Ottavio con la madre Rosita – sta in quello che faranno ora le banche soprattutto dei Paesi dell'Europa dell'est, compresa la Russia, o anche in Asia. Quanto credito daranno? Finora la maggior parte dei rapporti con i clienti erano gestiti con lettere di credito, ma adesso? Il pericolo è che le banche giudichino troppo esposti alcuni clienti e tirino i remi in barca. A questo punto non ci resterebbe che chiedere forti anticipi (almeno del 50%) o addirittura tutto il pagamento anticipato».
«Nel mondo bancario – ammette Pietro Gussalli Beretta, amministratore delegato di Beretta Holding ma anche membro del consiglio di sorveglianza di Ubi Banca – i timori sono forti, quindi c'è un'enorme prudenza nell'agire. Gli istituti di credito sono ossessionati dai rating, argomento principe dei banchieri in questi giorni. Il panico la fa da padrone. Devo anche dire che ho notato una cosa strana: io parlo tutti i giorni con New York e ho l'impressione che lì non ci sia una paralisi totale come qui. Se le banche si bloccano, si bloccano tutte le transazioni». E si ferma anche l'economia reale.
Le lettere di credito sono un po' il motore degli scambi internazionali. Basta un dato per dimostrarlo: nelle scorse settimane l'indice dei noli delle navi è crollato del 50%. Perchè nessuno voleva più comprare le merci trasportate? No. Solo perchè non si trovavano banche che garantissero i pagamenti con lettere di credito. Perchè era venuta meno la fiducia (si veda Il Sole 24 Ore del 17 ottobre).
Paolo Zegna allarga le braccia: «Abbiamo un bel darci da fare per stimolare le aziende ad andare sui mercati internazionali se poi quando cominciano a mettere il naso fuori le banche fanno marcia indietro. Certo, c'è chi forse è troppo indebitato, o troppo piccolo, oppure a suo tempo non ha voluto mettere i soldi in azienda: fatto sta che ora il rischio è che o i soldi li metti tu oppure sei stretto tra l'incudine e il martello. Ed è proprio un peccato – aggiunge il vicepresidente di Confindustria – perchè sono convinto che in questo momento avremmo potuto conquistare fette di mercato. Per il momento c'è ancora una grande confusione, nessuno dice chiaramente che le cose stanno così, ma se la situazione si conferma tale le aziende si fermano prima ancora di uscire di casa!».

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